La veglia di Kurt – I parte

Cari lettori, questa settimana pubblichiamo la prima parte di un racconto, in due puntate, su uno dei idoli del rock Anni ’90, quelli che tappezzavano con i loro poster le camerette degli adolescenti: Kurt Cobain dei Nirvana! Il 9 aprile 1994 Alice, la nostra protagonista, è disposta a tutto pur di salutare per l’ultima volta colui che, con Nevermind, l’ha fatta sognare e amare… buona lettura!!

Roma, 1994

Alice aveva aspettato quel giovedì 7 aprile con impazienza. La mattina aveva bucato scuola per andare dalla parrucchiera, nel pomeriggio era uscita. Aveva percorso via Appia per molti chilometri. Aveva visto molti vestiti e magliette. Ne scelse uno semplice ma molto attillato, che metteva in risalto le sue forme acerbe. Tommaso stava per arrivare. Le aveva detto intorno alle otto, e la maggior parte delle volte era stato di parola. Lei era in camera, davanti allo specchio. Si guardava, in ogni posa. Si piaceva. Un leggero trucco le delineava gli occhi e la collana che le aveva regalato sua zia per il compleanno cadeva a pennello in mezzo alla sottile scollatura dell’abito. Riconobbe il suono del motore della Peugeot 309 del fidanzato e sorrise. Sorrise a sé stessa e a Kurt Cobain che, raffigurato in un enorme poster appeso sopra al suo letto, sembrava ricambiare.

Non esitò un istante, si diede un’ultima occhiata veloce e uscì dalla camera. Per le scale incrociò sua madre. Probabilmente la stava venendo a chiamare per dirle di scendere. Anna era il suo nome. Una bella donna, occhi celesti e grandi, e un corpo ancora giovane, nonostante i suoi quarant’anni. Anna abbracciò la figlia, le raccomandò di non bere e di farsi accompagnare a casa non molto tardi. Alice era ancora piccola, aveva compiuto diciotto anni da poco e quella sera festeggiava l’anniversario con il suo vero primo amore. Passando dal salotto vide suo padre, Antonio, seduto sulla poltrona, le gambe stese su una sedia e gli occhi incollati alla televisione. «Non fare tardi» furono le uniche parole che rivolse alla figlia. Si fidavano di lei. A scuola aveva ottimi voti e anche al di fuori non aveva mai fatto parlare di sé in senso negativo. Alice gli sorrise. Gli diede un bacio sulla guancia e lo abbracciò al collo.

«A dopo papà»

«Ciao tesoro, divertiti». Alice si chiuse il portone di casa alle spalle.

Tommaso era in macchina. La guardava avvicinarsi avvolta nel suo elegante vestito nero tempestato di stelline bianche. Tommaso era più grande di lei, aveva ventisei anni. Gli piaceva avere sempre la barba incolta. Se la teneva così, perché gli donava e gli dava quell’aspetto di uomo vissuto e misterioso. Si erano conosciuti tramite amici in comune. La sorella del ragazzo, coetanea e compagna di banco di Alice, glielo aveva presentata alla sua festa di compleanno. Tommaso era un romantico, un ragazzo vecchie maniere, sempre gentile, che la riempiva di regali e, ogni giorno, non esitava a farla sentire una regina. Dopo un mese che si erano conosciuti, le aveva persino regalato un coniglietto domestico, che aveva chiamato We. Alice non ci mise molto ad innamorarsi di lui. Era felice. E, quella sera, aveva deciso di perdere la verginità. Ci aveva pensato, a lungo. Si sentiva pronta, sentiva che lui era il ragazzo giusto. Alice montò in macchina. Nel farlo, non si accorse di essersi seduta sopra ad un pezzo di carta. Era un biglietto di una certa Martina. Diceva: “A domani!”.

Tommaso se ne accorse. «Quanto sei bella!» le disse sottovoce. Poi la baciò. Senza che lei se ne accorgesse, lui recuperò il foglietto e se lo infilò in tasca, poi le accarezzò i capelli, che subito dopo si ricompose. Prese la borsa, se la mise fra le gambe e la aprì. Cercava qualcosa. Estrasse la cassetta di “Nevermind”, il disco dei Nirvana. La infilò nell’autoradio della macchina. Tommaso sorrise. A lui i Nirvana non facevano impazzire. Per Alice invece erano come una preghiera. Ogni giorno doveva ascoltarli. Adorava Kurt Kobain. Mancava solo che facesse colorare di biondo i capelli al suo ragazzo. Forse ci aveva pensato davvero, ma non gliela aveva mai chiesto.

«Pronta per la serata?»

«Dove mi porti, amore?»

Alice gli strinse la mano. Lui mise in moto la macchina e partì. “Smells like then spirit” risuonava lungo la strada.

«Sono quasi geloso di quel biondino!»

«Amo Kurt, è vero, ma amo molto di più te!»

Tommaso la guardò con occhi maliziosi.

«Provamelo!»

Alice accettò la sfida di sguardi. Con le mani gli sganciò i pantaloni, poi si chinò verso il pube, lo fissò negli occhi, con un sorriso da paura.

«Non è che l’inizio!»

Antonio sorrise quando Anna gli disse che Alice era arrivata. Puntuale, come sempre del resto. Alice entrò in casa, sorridente. Era stata una serata perfetta.

«Ciao mamma, ciao papà!»

«Ciao tesoro, divertita?» chiese la madre stringendola a sé.

Alice sorrise: «Da morire, ma adesso sono stanca e domani ho un compito.»

La madre le diede un bacio sulla guancia. Poi Alice si avvicinò al padre e lo strinse in un forte abbraccio. Dopodiché, salì in camera. Si spogliò, poi, dopo essersi infilata una maglietta bianca con sopra stampati i ragazzi di “Beverly Hills 90210”, si stese sul letto. Prese dal comodino affianco un diario. Lo aprì e, dallo stesso cassetto, estrasse un pennarello a punta fine. Sfogliava le pagine, cercando un buco libero dove scrivere qualcosa. Decise che, sì, sotto la foto di Kurt Cobain poteva andare bene. Scrisse: “Scusa Kurt, stasera ho fatto l’amore per la prima volta. Sognavo di farlo con te fino a che non ho conosciuto Tommy… il mio amore per te non smetterà mai di esistere”. Alice aveva gli occhi che le brillavano. Era felice, serena. La sua mente, tanto era leggera, poteva danzare a piedi scalzi sulle nuvole, magari sotto le note di “Lithium”, la sua canzone preferita. Dopo aver chiuso il diario si mise su un fianco, spense la luce e chiuse gli occhi, ma non riuscì ad addormentarsi subito.

Avrebbe voluto raccontare della serata a tutte le sue amiche, in particolare a Flaminia, ma doveva attendere. Il giorno dopo a scuola avrebbe avuto tutto il tempo del mondo per  emozionarsi e ricordare attimo dopo attimo la sua prima volta. Finalmente, si addormentò felice con quei pensieri.

“Vi parlo dal punto di vista di un sempliciotto un po’ vissuto che preferirebbe essere uno snervante bimbo lamentoso. Questa lettera dovrebbe essere abbastanza semplice da capire. Tutti gli avvertimenti della scuola base del punk-rock che mi sono stati dati nel corso degli anni, dai miei esordi, intendo dire, l’etica dell’indipendenza e di abbracciare la vostra comunità si sono rivelati esatti. Io non provo più emozioni nell’ascoltare musica e nemmeno nel crearla, nel leggere e nello scrivere da troppi anni ormai.”

La mattina dopo Alice, si svegliò con uno strano mal di stomaco. La nausea era molto profonda, che arrivava quasi a colpire l’anima, tanto era interna. Lì per lì non ci fece caso. Tutto era tornato normale dentro di lei quando uscì dal bagno, pronta per scendere in cucina per fare colazione. Sua madre, come ogni mattina, le aveva preparato una tazza fumante di tè alla pesca e quattro biscotti. Alice si sedette al tavolo. Anna le si avvicinò. Le lisciò i capelli.

«Allora, non mi racconti niente di ieri sera? Come è andata? Che avete fatto?»

«Benissimo mamma», rispose Alice guardandola con occhi sorridenti. «Mi ha portata in un ristorante a Trastevere, mi ha pagato la cena, poi siamo stati allo Zodiaco… che bella Roma con la luna piena!»

Anna sarebbe stata ore ed ore ad ascoltare la figlia e a vedere i suoi occhi brillare dalla gioia, ma doveva uscire. Il lavoro la attendeva. Era un’avvocatessa di successo e doveva raggiungere l’ufficio. Prese la ventiquattro ore in mano. La aprì.

«Papà è dovuto uscire presto stamani, chiudi a modo casa mi raccomando.»

«Tranquilla mamma, prima di uscire mi passeresti il telecomando?»

«Certo amore!»

Anna si avvicinò alla televisione. La accese, poi passò il telecomando alla figlia.

«Adesso vado amore, ti ho lasciato qualcosa in frigo, a stasera.»

«Ok grazie mamma… Buon lavoro…», disse Alice mentre con il telecomando faceva zapping alla tv. Dopo essere passata per il canale della musica si fermò su Rai 1.

Il telegiornale della mattina la sconvolse. Il mal di stomaco che aveva avuto appena sveglia stavolta la investì con forza tre volte maggiore. L’anima subì uno squarcio e il telecomando cadde per terra, rompendosi.

“Questa mattina il corpo di Kurt Cobain, leader dei Nirvana, è stato ritrovato senza vita nella sua villa a Seattle, sul lago Washington. Accanto al corpo, un fucile a pompa e una lettera. Lascia la moglie Kurtney Love e la figlia Frances, di due anni”.

Le parole della giornalista facevano da eco ad una serie di immagini del luogo, circondato da nastri gialli e neri della polizia e da giornalisti. Alice rimase in silenzio per qualche minuto. Il respiro non riusciva a coordinarsi fra l’esterno e l’interno. Non pianse. Non uscivano lacrime. Provò a pensare che fosse tutto un brutto sogno. Fra poco si sarebbe svegliata e magari il telegiornale avrebbe annunciato l’uscita di un nuovo album firmato Nirvana. Ma non era un incubo. Era tutto vero. Il biondo che ogni giorno gli regalava sorrisi e poesie inzuppate di rock si era tolto la vita. Alice tornò conscia mentre la tv trasmetteva un servizio sui prossimi mondiali di calcio che si sarebbero svolti negli U.S.A. Cambiò canale. Forse la Rai si era inventato tutto, magari aveva appreso una notizia falsa. Ma anche stavolta, le flebile speranze della ragazza si spensero. Anche Canale 5 dava la notizia. Alice si lasciò andare ad un pianto soffocato da singhiozzi e muco che colava dal naso. “Numerose veglie funebri saranno organizzati nei seguenti giorni in molte città degli Stati Uniti”. Alice, sentite queste parole, decise che sarebbe andata ad una di quelle veglie. In un modo o nell’altro doveva salutare Kurt. Pensò che sarebbe stato inutile chiederlo ai genitori. Tempo sprecato, non lo avrebbero mai permesso. Così, si asciugò con un gesto repentino della mano gli occhi, prese la zaino Invicta pieno di scritte e cuori per Cobain e uscì di casa, pensando che la soluzione più ovvia fosse chiedere a Tommaso di accompagnarla. Lui lo avrebbe fatto.

Il pensiero di avere accanto un ragazzo più grande di lei la rassicurò e,per un attimo, un sorriso gli si accese sul viso.

“Questo mi fa sentire terribilmente colpevole. Per esempio quando siamo nel backstage e le luci si spengono e sento il maniacale urlo della folla cominciare, non ha nessun effetto su di me, non è come era per Freddie Mercury, a lui la folla lo inebriava, ne ritraeva energia e io l’ho sempre invidiato per questo, ma per me non è così. Il fatto è che io non posso imbrogliarvi, nessuno di voi. Semplicemente non sarebbe giusto nei vostri confronti, né nei miei. Il peggior crimine che mi possa venire in mente è quello di fingere e far credere che io mi stia divertendo al 100%. A volte mi sento come se dovessi timbrare il cartellino ogni volta che salgo sul palco”.

Alice arrivò senza fiato davanti a casa di Tommaso. Erano da poco passate le dieci di mattina quando suonò il campanello. Fremeva, non vedeva l’ora che il portone si aprisse. Era sicura che Tommaso fosse in casa. Stava preparando la tesi e la sera prima le aveva detto che sarebbe stato tutto il giorno in casa a studiare. Gli attimi diventavano minuti insopportabili per l’anima di Alice. Finalmente la porta si aprì. Tommaso, in mutande e maglietta, sgranò gli occhi.

«Che ci fai qui?»

Alice non rispose, si tuffò fra le sue braccia e lo strinse forte. Tommaso accennò qualche timida carezza ai capelli.

«Non dovresti essere a scuola?»

Alice si staccò dall’abbraccio come una molla. Guardò Tommaso con i lucciconi agli occhi.

«Ma non hai visto i telegiornali, è morto Kurt»

Tommaso rimase in silenzio. Aveva altri pensieri per la testa e Alice se ne accorse.

«Amore dobbiamo andare in America… voglio andare ad una delle veglie, devo salutarlo, devo cantare le sue canzoni al cielo insieme a chi, come me, lo ama!»

Tommaso continuava a guardarla. Poi si voltò verso l’interno di casa sua.

«Amore, come facciamo?»

Alice si strinse di nuovo al ragazzo. «Ho voglia di un caffè amore e di sdraiarmi un po’, entriamo?»

«Si, ma forse il caffè è meglio prenderlo al bar, ho la caffettiera rotta e…»

«Non mi interessa molto il caffè!»

Alice entro dentro casa. Posò lo zaino per terra, vicino all’ingresso. Sentì dei rumori provenire dalla camera di Tommaso. Si voltò verso il ragazzo che protese le mani in avanti, verso di lei.

«Stavo studiando quando…»

«Quando?»

Alice a passo svelto si diresse verso la camera del suo fidanzato. Aprì la porta. Tommaso era dietro di lei. Sul letto, seduta c’era Martina, una coetanea del ragazzo. Una bella ragazza, mora con dei bellissimi occhi azzurri. La ragazza guardò Alice.

«Ciao Alice»

Alice si voltò verso Tommaso. La sua espressione era di ghiaccio. Rimase così, per qualche istante.

«È passata, ci siamo fumati una canna e stava per andarsene, dai amore!»

Alice di scatto diede uno schiaffo a Tommaso.

«Sei uno stronzo!» gli disse con le lacrime agli occhi. «E te una troia», girandosi verso Martina.

«Amore, amore» Tommaso la afferrò per un braccio per provare a calmarla.

«Lasciami, mi fai male!» La ragazza si divincolò e, senza aspettare spiegazioni, si avviò al portone d’entrata, prese lo zaino e uscì di casa.

“Ho provato tutto quello che è in mio potere per apprezzare questo. Ho apprezzato il fatto che io e gli altri abbiamo colpito e intrattenuto tutta questa gente. Ma devo essere uno di quei narcisisti che apprezzano le cose solo quando non ci sono più. Io sono troppo sensibile. Ho bisogno di essere un po’ stordito per ritrovare l’entusiasmo che avevo da bambino. Durante gli ultimi tre nostri tour sono riuscito ad apprezzare molto di più le persone che conoscevo personalmente e i fans della nostra musica, ma ancora non riesco a superare la frustrazione, il senso di colpa e l’empatia che ho per tutti. C’è del buono in ognuno di noi e penso che io amo troppo la gente, così tanto che mi sento troppo fottutamente triste.”

(fine prima parte)

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